02/11/2025 – Commemorazione dei defunti

Iglesias, cimitero cittadino, 2 novembre 2025

Tre carezze

Ci troviamo in un luogo suggestivo. In un cimitero – parola che in greco significa “luogo del riposo” –, davanti a tante tombe (che nella scrittura sono dette “luogo del ricordo”). Qual è il senso della celebrazione? Non certo quello di celebrare un culto dei morti, così come avviene in tante culture e forme religiose, sin dai tempi antichissimi. Neppure quello di vivere semplicemente un ricordo dei nostri cari defunti, nel loro riposo eterno. Come rappresentare dunque la nostra celebrazione? Ho pensato di lasciarvi un’immagine: quella della carezza. Vorrei parlarvi di tre carezze, una per ciascuna lettura che è stata proclamata
1) San Paolo nella seconda lettura ci ha detto: “Avete ricevuto lo Spirito che rende figli”.
Lo Spirito ci fa una sola cosa in Gesù: figli di Dio, fratelli e sorelle tra noi. I defunti non cessano di far parte della nostra famiglia. Anzi, vi partecipano nella pienezza. Oggi ci uniamo realmente a loro nel sacramento: non è certo un’opera esoterica (paragonabile ad una seduta spiritica), ma un realizzare la medesima vita in Cristo. L’Eucaristia riunisce tutta la Chiesa, ci fa essere fratelli e sorelle, ci unisce tra noi e con Dio. Noi allora oggi possiamo pregare con i nostri defunti e per loro. D’altra parte, loro pregano con noi e per noi: la preghiera è il modo con il quale noi cristiani possiamo continuare a farci del bene gli uni gli altri. Non basta il ricordo e neppure un fiore. La preghiera fa molto di più. L’Eucaristia è il gesto d’amore più alto; la nostra celebrazione è la prima carezza che ci scambiamo con i nostri defunti, per condividere il nostro amore.
2) D’altra parte, quella di oggi è anche l’occasione per riflettere su cosa fondiamo la nostra vita. Guardiamo alla méta della nostra esperienza terrena e contemporaneamente verifichiamo anche il nostro cammino. La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, ci aiuta a far questo. Ci ha presentato – forse sarebbe meglio dire “rappresentato” – il giudizio finale. Il giudizio che Gesù descrive non è una minaccia, ma una rivelazione: il vero volto di Dio si manifesta nell’amore concreto verso i fratelli. Ogni gesto di carità, ogni parola di consolazione, ogni atto di perdono diventa una porta aperta sul Regno. “Avevo fame… Avevo sete… Tutto quello che avete fatto…lo avete fatte a Me”.
È facile pensare l’eternità come un domani lontano. La immaginiamo oltre la soglia della morte, dopo la quale ipotizziamo eventualmente la salvezza. La vita eterna invece è già qui, oggi. Non è un «dopo» cronologico, ma una realtà viva e presente: è Cristo risorto, che ci comunica la vita di Dio, nell’essere fratelli e sorelle per gli altri. Fin da ora possiamo farne esperienza ogni volta che scegliamo di amare, di donarci, di entrare nella logica del Risorto. È in questo «oggi» che possiamo cogliere segni di vita eterna: nei volti amati che ci hanno preceduto, nella cura delle relazioni, nella libertà che Dio non smette mai di concederci, fino all’ultima ora. La carezza allora non la dobbiamo dare solo ai nostri defunti, ma prima di tutto ai nostri fratelli e sorelle con cui condividiamo il nostro cammino.
C’è dunque una carezza della preghiera – se vogliamo una carezza sacramentale – e una carezza reale, fisica che dobbiamo scambiarci gli uni gli altri.
3) Tuttavia questo è possibile perché anzitutto siamo amati da Dio. Così giungiamo alla terza carezza. “Preparerà il Signore degli eserciti un banchetto di grasse vivande…eliminerà la morte per sempre (Is 25). Questo è il nostro destino. La celebrazione di oggi già realizza questo banchetto eccezionale. L’amore eterno di Dio, di cui l’Eucarestia è la perfetta realizzazione, ci viene comunicato come prefigurazione del banchetto eterno.
La poetessa Alda Merini, deceduta proprio il 1 novembre di sedici anni fa, scrive: “È inutile presentarsi a Dio/ con il viso coperto: Egli toglierà tutte le bende della nostra finzione./ Ci guarderà in faccia./Ecco, le mie sorelle non hanno pensato/ che io volevo guardare in faccia il Signore,/ e mi hanno bendato il viso./ Questa è la tristezza della mia mummia:/ non hanno pensato che io volevo/la carezza divina.
Oggi noi tutti possiamo toglierci le bende, smetterla di essere mummie e guardare in faccia la vita e la morte, perché siamo una sola cosa in Dio; possiamo toglierci le nostre bende per ricevere la carezza di Dio.
Ecco il senso della nostra celebrazione. Lo possiamo riassumere in queste tre carezze: una con e per i nostri defunti; la seconda che ci impegna alla carezza per i nostri fratelli e sorelle nostri compagni di viaggio in questa storia; per prepararci ad accogliere la carezza più dolce: quella di Dio per ciascuno di noi.