04/10/2025 – Festa di San Francesco 

Iglesias, chiesa di San Francesco, 4 ottobre 2025

San Francesco a Iglesias

Sin dai primi giorni in cui sono stato nominato vescovo di questa città, mi sono chiesto quale legame esista tra il francescanesimo e Iglesias. Appare infatti evidente anche ai più distratti una stretta amicizia tra la nostra Chiesa e la spiritualità francescana, vista la presenza di due Chiese storiche, la cattedrale di Santa Chiara e questa, e soprattutto degli ordini religiosi francescani, sia maschili sia femminili, in questa città sin dagli inizi del francescanesimo. Per limitarci a questa chiesa – cito la “decana degli archivisti” Celestina Sanna – “di certo si sa che i francescani minori conventuali, ai quali la chiesa e il convento sono sempre appartenuti, erano in Iglesias già nel 1324”; cioè a meno di un secolo dalla morte di Francesco, che – come sapete – avviene nel 1226 (l’anno prossimo celebreremo gli 800 anni, e per questo vorrei anche che la nostra città organizzasse qualcosa). In ogni caso: san Francesco, grazie ai francescani e alle francescane, ha esercitato un grande influsso sulla nostra città.
Sospendiamo però il discorso sul passato e concentriamoci sul presente. Cosa ci insegna oggi Francesco? Certo non posso rispondere nel breve spazio di un’omelia. San Francesco è un santo che ci parla con una forza che attraversa i secoli. Parla al cuore, anche di chi è lontano dalla fede. Parla con la sua radicalità evangelica, con la sua povertà scelta, con il suo amore per Cristo crocifisso, per il Vangelo, per i poveri, per il creato. Vorrei semplicemente individuare due risposte alla domanda, citando due espressioni delle letture di questa domenica che abbiamo appena ascoltate.
La prima è la richiesta dei discepoli di Gesù raccontataci dalla pagina del Vangelo: “Accresci in noi la fede!”
È una preghiera che tutti possiamo fare nostra. Anche noi, come loro, sentiamo che la fede non è scontata. Non è qualcosa che si possiede una volta per tutte. È un dono, ma anche una conquista e una lotta. E spesso, come il profeta Abacuc, gridiamo a Dio: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti?”. La fede è risposta a un dono sempre sovrabbondante da parte di Dio: ecco perché Gesù non risponde direttamente alla richiesta.: la fede dipende anche da noi.
San Francesco ha vissuto questa fede come abbandono fiducioso a Dio. Non perché tutto gli andasse bene, ma perché ha imparato a fidarsi anche nel buio. Quando si spoglia dei suoi beni davanti al vescovo, quando abbraccia il lebbroso, quando sceglie la povertà, quando accetta di diventare “piccolo tra i piccoli”, Francesco sta dicendo con la sua vita: “Signore, mi basti Tu. Mi fido totalmente di Te; sradica il gelso del mio egoismo e della mia superbia”.
Nella pagina del Vangelo Gesù accompagna la sua risposta con la parabola del servo. Usa un’immagine scomoda: quella del servo che, dopo aver lavorato, non si aspetta un premio, ma dice: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.” Parole dure, forse. Ma vere. E Francesco le ha capite bene. Perché l’umiltà è il segreto della fede vera. Non si tratta di sminuirsi, ma di riconoscere che tutto è grazia. Che ciò che siamo e ciò che facciamo, non è per merito nostro, ma è opera dello Spirito.
La seconda espressione che voglio sottolineare è la raccomandazione di Paolo al suo discepolo Timoteo, presentataci nella seconda lettura: “Ravviva il dono di Dio che è in te”. È un invito anche per noi. Perché la fede può affievolirsi. Può diventare abitudine, facciata, tradizione vuota. Ma lo Spirito che ci è stato donato non è spirito di timidezza, dice Paolo, ma di forza, di amore, di saggezza. San Francesco ha ravvivato il dono di Dio con la preghiera, con la povertà, con l’amore per Cristo crocifisso. Non si è accontentato di un cristianesimo tiepido, comodo, borghese. Ha osato sognare un Vangelo vissuto sul serio. Ha fatto della sua vita una parabola vivente di ciò che significa essere discepoli.
Oggi più che mai abbiamo bisogno della testimonianza di Francesco. Ne ha bisogno la nostra città di Iglesias, ne abbiamo bisogno noi, i nostri giovani. Se venisse oggi Francesco, cosa ci direbbe, cosa ricorderebbe? Senz’altro ricorda che il Vangelo è ancora possibile. Non come teoria, ma come vita. Non come imposizione, ma come proposta di libertà e gioia.
Nel cuore della nostra città di Iglesias, questa chiesa dedicata a lui sia segno di speranza, luogo in cui ravvivare la fede, accendere i cuori, imparare l’umiltà e la carità. E come lui, anche noi possiamo dire:
“Laudato sii, mi’ Signore, per tutto quello che ci doni, anche nelle difficoltà. Perché Tu sei fedele, e a noi basta servirti con amore.”