Generare alla Fede. Intervista con don Carmelo Sciuto

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Don Carmelo Sciuto al convegno diocesano. Foto di Efisio Vacca

La famiglia al centro del progetto pastorale

Intervista di Giampaolo Atzei
Direttore del settimanale diocesano “Sulcis Iglesiente Oggi

Don Carmelo Sciuto è direttore dell’Ufficio della Chiesa siciliana per la Dottrina della Fede e la Catechesi, nonché aiutante di studio dell’Ufficio Catechistico Nazionale. Ospite della nostra diocesi, è stato relatore del convegno ecclesiale appena concluso a Carbonia. Con lui, terminata la due giorni di lavori, abbiamo ragionato a partire proprio dal titolo della sua prima relazione – “Iniziazione Cristiana: sarà sempre un problema?” – con una riflessione aperta sul tempo di crisi stiamo vivendo, le cui difficoltà rappresentano una sfida aperta per la Chiesa, per le comunità, per le famiglie, per i giovani, cui sarà dedicato il prossimo Sinodo.

Don Carmelo, papa Francesco, aprendo il pre-sinodo ha detto che sono proprio le nuove generazioni l’antidoto alla logica del “si è sempre fatto così” e che “nei momenti difficili il Signore fa andare avanti la storia con i giovani”. Nel cammino dell’IC da cui sono spesso lontani, in un mondo guidato dagli adulti, i giovani sono più un problema da risolvere o una risorsa da cui ripartire?
I giovani certamente sono una risorsa da cui ripartire ma necessitano di figure adulte significative, punti di riferimento per la loro crescita e maturazione, per cui anche il nostro convenire a Carbonia ha avuto come scopo quello di “mentalizzarsi” per un rinnovamento che investa tutta la Chiesa diocesana. La “crisi” è reale e non va sottovalutata. Ma questa interpella la Chiesa a recuperare uno sguardo di fede: anche questo tempo, è tempo di grazia, di iniziativa gratuita di Dio; un tempo da “abitare” con tutto il nostro essere uomini e donne di questo tempo. Dio ci precede “in Galilea”, nella Galilea delle genti, dove la vita avviene. Dio non ha disertato il mondo e continua a pronunciare una parola di bene anche su questo mondo, per gli uomini e le donne di questo nostro tempo. La crisi, allora, può essere feconda perché, come ogni crisi, può ricondurre all’essenziale. A quell’essenziale della Chiesa che è la missione di annunciare il Vangelo, la buona notizia della prossimità di Dio per ciascuno di noi.

Dal suo osservatorio nell’Ufficio nazionale, che Italia vede nella sua trasformazione? C’è un tratto comune che unisce la Chiesa Italiana nel suo abitare in questo tempo o permangono distinzioni sociali e pastorali nelle diverse aree del Paese?
Senza dubbio la realtà delle diocesi italiane è varia in riferimento alla conformazione socio-economica e ambientale, alla cultura e alle tradizioni, ma permangono dei tratti comuni che manifestano la situazione di “crisi della fede” e della sua comunicazione. Si sta trasformando il modo di pensare, agire, scegliere, valutare, comunicare… Aumenta la mobilità e la globalizzazione. Cambia la geografia di culture e stili di vita. Tutto ciò sfida i meccanismi abituali della trasmissione della fede. Le diocesi si stanno interrogando su come rispondere alle sollecitazioni che vengono dal mondo di oggi sforzandosi di tornare con fiducia alla promessa fedele di Gesù: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 18, 20), e senza abbandonarsi a facili entusiasmi, stanno ridando fiato alla speranza, prendendo le distanze da dolorose e sterili rassegnazioni. D’altronde, papa Francesco in Evangelii Gaudium lo ha chiesto esplicitamente: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (n.1).

Nella cornice della Chiesa odierna lei ha sottolineato il ruolo della missione. Di pari al cammino di IC orientato al primo annuncio, che soluzioni praticamente può seguire una comunità nel ri-generare alla fede gli adulti, i genitori distratti o una comunità che vive la parrocchia come un “sacramentificio”?
È lo stesso papa a definire l’Evangelii gaudium: cornice apostolica della Chiesa di oggi, a ricordare che solo una Chiesa missionaria può rispondere alle sollecitazioni del nostro mondo. Essa si riassume in quello che chiamiamo: “la chiesa in uscita”. Il n. 21 in questo senso è esplicito: “La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria”. Per cui, continua Francesco: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”. In concreto il primo passo da compiere è quello di aiutare tutte le comunità parrocchiali a “mentalizzarsi” sulla necessità di avviare un vero e proprio cammino di rinnovamento della propria modalità di annuncio per diventare centri di irradiazione e di testimonianza dell’esperienza cristiana. È necessario operare una svolta da una pastorale “della cura e conservazione della fede” ad una pastorale “missionaria”, configurando, la pastorale secondo il modello dell’iniziazione cristiana. In questo contesto, si tratta di ri-partire dall’attuazione di una fase di Primo annuncio, di “prima evangelizzazione”, come tappa indispensabile, prospettiva e dimensione fondamentale del processo evangelizzatore. Contenuto del Primo annuncio è il kerygma apostolico, la proclamazione che Gesù Cristo, l’inviato del Padre, il crocifisso, è risorto e vive. Questo annuncio deve diventare sempre più una dimensione trasversale a tutto il percorso: dalla richiesta dei genitori del Battesimo per i bambini, all’inizio “tradizionale” del tempo del completamento dell’IC, dal momento del passaggio alla pastorale dei preadolescenti al momento dell’ingresso nella vita giovanile.

Con una provocazione che ha colto nel segno, durante il convegno lei ha ricordato le tante “signora Giuseppina” che prestano la loro opera in parrocchia. La formula bergogliana che supera il “si è sempre fatto così” vale anche per le equipe pastorali e della catechesi, presupponendo una preparazione che va oltre il semplice volontariato. Quanto è importante in prospettiva il cammino formativo degli operatori della catechesi?
Innanzitutto dobbiamo ringraziare le tante “Giuseppine” che ci collaborano in parrocchia per l’ordine dei locali, la pulizia, la catechesi, la liturgia, la carità… ma abbiamo anche la responsabilità di allargare gli orizzonti per dare spazio a tutti, valorizzando carismi e ministeri nella comunità. Certo non ci si improvvisa operatori pastorali: è necessario “formarsi per formare”, così come hanno affermato tutti i quattro gruppi di lavoro. La formazione è essenziale e bisogna curarla in tutte le sue dimensioni: dall’essere, al sapere, al saper fare, ma anche al saper stare “in” situazione per cercare e dare collaborazione. In questo mi pare che la Chiesa di Iglesias stia investendo forze e risorse: ci auguriamo che se ne sfrutti l’opportunità.

La Chiesa che si apre al rinnovamento dell’IC si confronta con itinerari personalizzati nell’attenzione al singolo e alla disabilità, alla diversità, alla pluralità, all’accoglienza. Un cristiano che vive con fede e testimonianza la propria presenza nel mondo è un cittadino migliore? In prospettiva, una nuova dimensione educativa nella parrocchia potrebbe accompagnare la ripresa dell’impegno civile cattolico?
Questa ultima domanda coglie il senso del rinnovamento dell’iniziazione cristiana: non una catechesi in vista della recezione di un sacramento, ma un vero e proprio tirocinio di vita cristiana che abilita ad una presenza cristiana nel mondo. Naturale sbocco di tutta l’azione iniziatica ecclesiale è la possibilità che il ragazzo viva il suo impegno cristiano dentro il mondo, “incarnando” così la sua fede e concretizzando il suo essere cittadino consapevole e attivo nel prendersi cura del bene comune (promozione umana, azione sociale e politica, trasformazione della società, azione educativa e culturale, promozione della pace, impegno ecologico). Per giungere a ciò, è necessario che il cammino sia personalizzato: al ragazzo sarà chiesto di esprimere il proprio assenso di fede alla chiamata di Gesù, a misura della sua età e con il vissuto che reca, consapevoli che crescendo potrà/dovrà riconfermarlo. In questo contesto di personalizzazione dei cammini, inseriamo anche l’attenzione alle persone disabili, che hanno diritto al Vangelo per un comando esplicito del Signore: annunciare la predilezione di Dio per i piccoli, i poveri e i sofferenti. Infine, mi sembra che San Paolo possa aiutarci a non scoraggiarci in questo tempo di “crisi”: «Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù… annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina… vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero» (2Tm 2, 1; 4,2.5).